La rabbia

Published On: Luglio 30, 2024

Noi tutti possiamo immaginare facilmente l’aspetto di una persona in collera: viso arrossato, mandibola contratta, pugni stretti e voce alterata. Tuttavia, chi sa usare bene la rabbia ha un comportamento molto meno appariscente, perché è l’emozione che serve a chi tira al bersaglio.
Forse è per questo che esiste il detto “can che abbaia non morde” o che è risaputo che è meglio aver più timore di chi è teso ma silenzioso che di colui che sbraita e si agita, perché mentre il primo sta prendendo la mira, il secondo fa scena, magari per mascherare la propria impotenza.

Nella rabbia il corpo viene caricato come una molla, pronto a colpire con quelle parti che per natura sono più adatte ad offendere, che siano denti, artigli o una pistola.
Questa può sembrare una battuta ma in realtà descrive bene il vantaggio di poter colpire un bersaglio a distanza evitando il corpo a corpo; un vantaggio garantito a chi, come la nostra specie, dispone di estremità libere di lanciare oggetti come pietre, boomerang, bastoni acuminati, vasellame o ciabatte.

Se osservate i movimenti di un lanciatore di giavellotto, noterete che la forza del lancio sta tutta nei movimenti di torsione del tronco, un’azione compiuta da muscoli che avvolgono il corpo a spirale, arti compresi, proprio come fossero delle molle. In particolare, torace e spalle sono i segmenti del corpo più liberi di ruotare e di assecondare l’azione della rabbia. Lo stesso movimento di torsione del busto tende però a ridurre la capacità inspiratoria.

La rabbia scompare una volta colto il bersaglio, un fenomeno che dovrebbe far riflettere gli incavolati cronici di cui è piena la società in cui viviamo.

Giulio Sartori

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